Archivi del mese: febbraio 2017

Venerdì 17 Febbraio del ’17

“Facciamo tesoro di sentimenti cari e soavi i quali ci ridestino per tutti gli anni, che ancora forse tristi e perseguitati ci avanzano, la memoria che non siamo sempre vissuti nel dolore.”

[Ugo Foscolo, “Ultime lettere di Jacopo Ortis“]

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Amo i gatti. E non mi pesa affatto il rinunciare a viaggi e vacanze per non dover lasciare i miei cari animali domestici. Sto bene così.
Nel giorno dell’anno ad essi dedicato non ho intenzione di rattristarmi con i ricordi dei miei amici a quattro zampe passati a miglior vita, dopo aver allietato affettuosamente la mia, lunga ormai di oltre mezzo secolo. Ho memoria di ognuno di loro, come anche – seppure nella mia immaginazione – di quelli che mi hanno preceduto ovvero, nell’accompagnare la giovinezza e l’infanzia dei miei genitori ed anche dei miei nonni e, da loro stessi narratemi, di volta in volta con una punta di affetto perduto.
Ora sono tutti quanti insieme e vicini, esseri umani ed animali, ritrovati nella gloria del Signore, come ci rassicura l’Amico e Santo Francesco. Voglio onorarli a modo mio, tutti, passati, presenti e futuri, in letizia ed in poesia, citando per l’occasione i seguenti versi del poeta Arturo Graf:

Al mio micino

O mio caro micino,
bello, lindo, pastoso,
lèpido, grazioso,
ficchino, naccherino;

mentre al quieto lume
d’una lampa modello,
io, com’è mio costume,
sui libri mi scervello;

mentre assassino l’ore
cercando il pel nell’uovo,
o con l’antico errore
affastellando il nuovo;

tu vieni quatto quatto
a farmi compagnia,
e mi schizzi d’un tratto
sopra la scrivania.

Ti muovi a coda ritta
fra libri e scartafacci,
poi sulla carta scritta
placido t’accovacci.

O mio caro micino,
bello, lindo, pastoso,
lepido, grazioso,
ficchino, naccherino;

io prendo gran satolle
di testi con le note;
tu rimani in panciolle
sulle morbide piote;

e beato sonnecchi,
pieno di scienza infusa,
o mi guardi sottecchi,
sbadigli e fai le fusa.

E non so se m’inganno:
ma talvolta direi
che tu, così sappanno,
ridi de’ fatti miei.

Poi, quando finalmente
ci vengono a chiamare,
e come l’altra gente
andiamo a desinare;

io mangio quanto un grillo
consunto d’etisia;
tu pappi franco e arzillo,
la tua parte e la mia.

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Un grande abbraccio a tutti i gatti del mondo.


Terraferma

“…dicevano che il dio manifestava di voler punire la trasgressione e la profanazione avvenuta con una grande calamità collettiva.”

[ Plutarco, “Vita di Numa“]

 
Dopo tanto lungo silenzio, avrei voluto ritornare alla ribalta del mio modesto blog con temi e toni leggeri e spensierati. Invece, l’animo mio vive e sente tutt’altri sentimenti:

oh Signore, se tu hai deciso che dalle mie parti è giunta l’ora di farci finire tutti annientati, ti prego di farlo il prima possibile, per non dovere attendere più noi nel terrore di giorno e di notte. Ma se puoi, per pietà non farlo succedere, allontana da noi questo calice e salvaci. Non mi sento pronta, ho paura. Anche se questa ormai è veramente “valle di lacrime”, noi vogliamo ancora restare qui, vivi, a piangere e penare. amen

 
“Mentre la gente era in preda allo sconforto, uno scudo di bronzo […] piombò giù dal cielo…]

[idem]

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Da un po’ di tempo, dopo le ultime e terrifiche scosse di terremoto e fenomeni climatici vari (nevoni, crolli, frane…), ripenso spesso e rifletto sulle cose del passato, mio e dei miei cari. Sono le storie della mia infanzia e della vita trascorsa, quella mia e quella dei miei affetti scomparsi ed anche degli avi sconosciuti, noti a me solo dai racconti e da qualche rara foto o documento o dai ricordi materiali, oggetti vecchi, tramandati di generazione in generazione…

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Questo libretto è appartenuto alla mia nonna materna; contiene consigli di economia domestica e poche ricette culinarie, tutto all’insegna del riciclo di avanzi e scarti e del massimo risparmio possibile o “a spreco zero”. Le pietanze sono raccolte nella rubrichetta dal titolo “Ricettario autarchico”.
In un’epoca in cui nulla andava perduto, con il risparmio nella gestione della casa si riusciva a recuperare uno stipendio in più.

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Il tutto è stampato su carta “povera” (quasi una cartapaglia), in due soli colori (nero ed un po’ di rosso) dalla S. A. Poligrafici Il Resto del Carlino, nell’anno 1941.
A guardarlo ora, nel suo aspetto segnato di decadente residuato, gravemente ingiallito, macchiato e bruciacchiato nei bordi, dimostra più dei suoi anni.

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Molti dei consigli d’uso e di recupero che vi si leggono, oggi sarebbero improponibili, alcuni del tutto irrealizzabili, in qualche caso persino incomprensibili; nelle nostre case comuni mancano sia i focolari che certi materiali, frequenti ed economici all’epoca del libretto, sono divenuti introvabili oppure addirittura costosi, quasi dei lussi.

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I consigli di conservazione degli alimenti non tengono conto dell’esistenza dei frigoriferi; ricordo ancora la mia nonna, che pure ai suoi tempi aveva avuto il “privilegio” di possedere ante guerra una ghiacciaia, confezionare spesso dei sacchetti vari di stoffa, cucendo ritagli di abiti da buttare e parti di biancheria troppo usurata, come contenitori per lo più per alimenti (orzo, farina, pasta, ecc…).
I consigli per il lavaggio e la stiratura degli indumenti e dei materiali tessili non tengono conto dell’esistenza della lavatrice, né del ferro da stiro a vapore. Insomma, a leggerli e confrontarli con le abitudini odierne di gestione ed amministrazione della casa, ne emerge senz’altro almeno un fatto e cioè, che oggi si vive praticamente di sprechi e negli sprechi; ma anche si capisce che, quel genere di economia proposta tanti anni fa, noi ora non saremmo più in grado di praticarla… suppongo.

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Nonostante ciò, si può prendere ancora qualcosa di utile e di buono da questo libriccino, oltre al principio stesso di base, che è quello della lotta agli sprechi domestici ed, ancor più, degli alimenti.
Piccole interessanti scoperte ed anche qualche gustosa curiosità da assaggiare, per provare il piacere di un sapore “nuovo anzi antico”.

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Sono tempi tristi questi. Per quanto possiamo fare nel mostrare ottimismo, buonumore, voglia di andare avanti, più spesso nell’intimo un grande avvilimento ci avvolge come una coperta gelata, è il crollo delle speranze, è il buio fitto in cui brancoliamo in tanti e tanti, chi più e chi meno; e sempre ci diciamo l’un l’altro – Speriamo bene! -.
A volte, quando sono seduta guardo avanti e, nella stanza vuota, vedo di fronte a me i miei genitori, che mi guardano, due vecchini con lo sguardo amorevole che conosco e che mai dimentico, dediti a me prima di se stessi, come i personaggi dei genitori nel film “Sinue l’egiziano”, i quali rendono l’idea del ricordo che ne ho dei miei. Forse mi vedono o forse così li sto disturbando nel loro riposo eterno. Me li immagino come se fossero veramente presenti e vicini, come se ci fossero, come io li vorrei, con me, mentre mi duole in gola un grosso nodo.

 
“…nessuna delle cose umane è stabile, ma in qualunque modo il dio svolga e muti il corso della nostra vita, conviene che noi ci accontentiamo e accettiamo.”

[ idem ]