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Vintage 5

“Vederla ora, gli fece tornare in mente il passato, memoria preziosa che gli avvenimenti successivi non avevano mai potuto completamente cancellare.”

[ Rafael Sabatini, “Scaramouche“]

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Per ritornare all’argomento moda-vintage etc… ho scelto stavolta un capo datato anni ’70, autentico, un tailler della nota griffe “Marina Rinaldi”, la quale realizza abiti femminili ben curati nei dettagli, di gusto definito, preciso lo stile sartoriale, la vestibilità è per tutte le età; ed anche questo, è appartenuto alla mia mamma.

 

Bella la stoffa tweed, dalla trama non molto pesante, non spessa, non rigida, portabile: la giacca, foderata di leggera flanella di cotone in tinta con il tutto, presenta un’abbottonatura doppia sul davanti ed un collo tondo chiuso anch’esso su di un lato da un bottone, bordato infine di pelliccia, di una nuance di colore che evoca gli stessi toni del marrone della laneria, mentre la lunghezza delle maniche scopre i polsi, permettendo così si mostrare eventuali bigjoux oppure un bel paio di guanti, riguardo i quali, in questo caso, ho optato per un tipo di pelle nera, semplici e classici, sul genere degli stivaletti a metà polpaccio che indosso nella foto; la gonna, in origine si presentava di lunghezza midi e, senz’altro “vestiva di più”, ma io ho voluto renderla indossabile per me, adattandola al mio stile e cioè, ne ho accorciato l’orlo.
Indosso di solito dei cappelli su questo genere di completi, ne possiedo svariati, per forme, materiali, stili, e colori ma, come sempre accade, ne manca sempre uno e cioè, proprio quello che servirebbe… queste carenze sono difetti (o pregi) “da donna”.

 

A questo punto devo accennare ad un importante e prezioso accessorio di completamento, un capo che ho voluto aggiungere per proporlo e mostrarlo in uno dei suoi molteplici abbinamenti, pensati da me: un nuovissimo maxi-foulard, realizzato dalla casa “Versace” in fine tessuto damascato, monocolore, morbidissimo e cadente, un materiale di ultima generazione (100% Lenpur, che mi dicono essere un derivato o addirittura lo stesso legno) e, combinazione, di un tono di colore praticamente identico a quelli dell’abito presi nel loro insieme, un felice abbinamento di sfumature e materiali, non certo appariscente, ma a mio avviso neppure monotono, il contrasto è più nel genere (materiale, epoca, etc.) che non nel colore, di un’originalità diversa, non troppo esibita, quasi una divisa…
Ho in mente tanti altri modi per indossare ed abbinare questo genere di stola dal colore particolare, quasi indefinito, ad esempio, su base di colore rosso acceso, deciso o, sopra i toni del blu e soprattutto, dell’azzurro, insomma, su basi dai toni certi, così da stabilire a colpo d’occhio uno stacco netto, ciò che io chiamo un completamento a contrasto, ma di un genere non troppo impegnativo; purché si sappia però, oltre al come, anche il quando, indossare…

 

Borse a tracolla, sarebbero senz’altro adatte ad un vintage anni ’70 di sapore classico come questo, ma io stavolta non lo trovo un punto vincolante, anzi vorrei invece trasgredire, smorzando così un insieme che appare più che fedele alle figure della sua epoca; quindi, pur avendone in mia disponibilità alcuni modelli autentici, non indirizzerei verso nulla in particolare; dico solo che nei miei gusti gradirei vederci abbinato qualcosa di vivace e magari audace, nuovo o vintage che sia, niente altro più, scelta libera.

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“…una donna dall’aspetto melanconico, i capelli castani e le ciglia languide…”

[Oscar Wilde, “Il Delitto di Lord Arthur Savile“]

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Essere e non essere

“Soffri indegno dolore e si smarrisce l’animo tuo prostrato nel delirio; come un medico inabile sorpreso dal male, t’abbandoni, e ti vien meno il rimedio che valga a risanarti.”

[Eschilo, “Prometeo“]

Era da tempo che pensavo di tornare a curiosare sui testi di canzoni di musica leggera. In particolare di guardare al tema della solitudine interiore, in ambienti geografici affollati e rumorosi, quali possono essere quelli della città, città abbastanza grande e abbastanza anonima da giustificare la sensazione di estrema solitudine e di vuoto individuale, intimo, che si ripercuote idealmente anche all’esterno, per la forza stessa del sentimento provato.
Le due canzoni che ho deciso di prendere in esame e mettere in comparazione, si esprimono in tali termini già nei loro titoli: “Solo” e “Città vuota“.
Il tema di base su cui si appoggiano i due testi è quello del rapporto sentimentale di coppia, anche se io ritengo, proprio a partire dai loro titoli, che il principale motivo portato in scena, sia quello tutto poetico, della sofferenza personale del narrante, che si racconta attraverso la rappresentazione di quadri espressivi, tratteggiati con poche studiate parole; canta la propria condizione interiore di disagio sentimentale, descrivendone la ragione ed anche i fatti più toccanti e l’inutilità di ogni ovvio rimedio, nel dover comunque andare avanti così. Le due canzoni si risolvono infine in epiloghi differenti.

Solo
di Claudio Baglioni

Lascia che sia
tutto così
e il vento volava sul tuo foulard
avevi già
preso con te
le mani, le sere, la tua allegria…
Non tagliare i tuoi capelli mai
mangia un po’ di più che sei tutt’ossa
e sul tavolo fra il thè e lo scontrino
ingoiavo pure questo addio…
Lascia che sia
tutto così
e il cielo sbiadiva dietro le gru
no, non cambiare mai
e abbi cura di te
della tua vita, del mondo che troverai…
Cerca di non metterti nei guai
e abbottonati il paltò per bene
e fra i clacson delle auto e le campane
ripetevo “non ce l’ho con te”
e non darti pena sai per me
mentre il fiato si faceva fumo
mi sembrava di crollare piano piano
e tu piano piano andavi via.
E chissà se prima o poi
se tu avrai compreso mai
se ti sei voltata indietro.
E chissà se prima o poi
se ogni tanto penserai
che son solo.
E se adesso suono le canzoni
quelle stesse che tu amavi tanto
lei si siede accanto a me sorride e pensa
che le abbia dedicate a lei.
E non sa di quando ti dicevo
“mangia un po’ di più che sei tutt’ossa”
non sa delle nostre fantasie, del primo giorno
e di come te ne andasti via…
E chissà se prima o poi
se tu avrai compreso mai
se ti sei voltata indietro.
E chissà se prima o poi
se ogni tanto penserai
che io solo… resto qui
e canterò solo, camminerò solo, da solo continuerò.

In questa prima canzone il narratore, dopo aver reso con le sue descrizioni, il sentimento di profondo affetto che lo lega alla donna, così perduta per sempre, comunica infine il dubbio, che sta accompagnando la sua vita e, di fronte alla amara constatazione della impossibilità per lui di ottenere risposta alla domanda che martella i suoi pensieri, conclude quasi tragicamente, con un quadro dall’immagine statica: la sua vita è quasi ferma, pur nel suo andare avanti, ed in totale solitudine; è un “buongiorno tristezza”, senza speranza all’orizzonte, quell’orizzonte “dietro le gru”, in cui un certo giorno, ha visto fermarsi il suo tempo migliore.

Città vuota
testo di G. Cassia

Le strade piene, la folla intorno a me
mi parla e ride e nulla sa di te
io vedo intorno a me chi passa e va
ma so che la città
vuota mi sembrerà se non ci sei tu
c’è chi ogni sera mi vuole accanto a sé
ma non m’importa se i suoi baci mi darà
io penso sempre a te, soltanto a te
e so che la città vuota mi sembrerà se non torni tu
come puoi tu vivere ancor solo senza me
non senti tu che non finì il nostro amor
le strade vuote deserte sempre più
leggo il tuo nome ovunque intorno a me
torna da me amore e non sarò più vuota la città
ed io vivrò con te tutti i miei giorni
tutti i miei giorni, tutti i miei giorni.

In questa seconda canzone, la narratrice, donna, speranza… pur non concedendo apparentemente alcuna certezza di lieto fine, pronuncia in chiusura, il suo invito accorato al suo amante, instillando viva speranza, la stessa che lei vuole provare, non cedendo alla rassegnazione ed al presente e futuro destino di tristezza, suo e della città intera, che sembra quasi essere essa stessa uno dei soggetti principali della canzone: la città partecipa alla pena del narratore e si trasforma.
Il quadro idilliaco ed invitante, prospettato dalla frase di chiusura, in forma ripetitiva, da eco, a dar maggior forza alle parole, a far sì che senta la persona a cui sono rivolte, è tutto un concentrato di desiderio non trattenuto ed a cui, sarà difficile dire di no.donnina marinaretta