“Un niente basta a far battere un cuore, come un niente lo può fermare. E se un niente può fermarci sull’abisso, la speranza fa suo questo niente; vi si incarna, ne prende il volto e la voce. La speranza vede la spiga quando i miei occhi di carne non vedono altro che il seme che marcisce.”
[Primo Mazzolari]
Oramai potrei definire consueto, il lavoro di breve analisi e comparazione di testi di canzoni italiane, le quali vertono, in modi non univoci, su di uno stesso argomento o tema anche secondario oppure di fondo, espresso in ognuna in maniera originale, unica, così come unica considero ogni canzone, nel senso di composizione e musica, nella sua epoca d’oro; sono opere della nostrana musica leggera, reali, rappresentative di tutto un genere artistico e di altri ad esso collegati e collegabili, come pure dei personaggi e della storia umana che vi gira attorno.
Il mio interesse si sofferma su testi, che attraverso sentieri di parole, esprimono sì dei sentimenti, ma anche conducono o ispirano luoghi geograficamente definiti, precise scenografie, tanto reali e fisiche, quanto riaffioranti da ricordi di episodi e gesti, interiorizzati nel passato ed evocati al presente, come per un gioco, più o meno esplicito, un “vorrei e non vorrei”, che maggiormente coinvolge il lettore-ascoltatore.
E proprio “Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi” è il titolo della prima canzone qui presa in esame, mentre “Meraviglioso” è il titolo della seconda.
Io vorrei… non vorrei… ma se vuoi
di Battisti – Mogol
Dove vai quando poi resti sola?
Il ricordo come sai non consola…
quando lei se ne andò per esempio
trasformai la mia casa in un tempio
E da allora solo oggi non farnetico più
a guarirmi chi fu?
Ho paura a dirti che sei tu.
Ora noi siamo già più vicini
io vorrei… non vorrei… ma se vuoi…
Come può uno scoglio arginare il mare?
Anche se non voglio torno già a volare…
Le distese azzurre e le verdi terre,
le discese ardite e le risalite
su nel cielo aperto, e poi giù il deserto
e poi ancora in alto con un grande salto…
Dove vai quando poi resti sola?
Senza ali, tu lo sai, non si vola…
Io quel dì mi trovai per esempio
quasi sperso in un letto così ampio
Stalattiti sul soffitto i miei giorni con lei
io la morte abbracciai
ho paura a dirti che per te mi svegliai…
Oramai fra di noi solo un passo
io vorrei… non vorrei… ma se vuoi…
Come può uno scoglio arginare il mare?
Anche se non voglio torno già a volare…
Le distese azzurre e le verdi terre,
le discese ardite e le risalite
su nel cielo aperto, e poi giù il deserto
e poi ancora in alto con un grande salto…
Meraviglioso
di Pazzaglia – Modugno
E’ vero, credetemi è accaduto
di notte su di un ponte
guardavo l’acqua scura
con la dannata voglia
di fare un tuffo giù.
D’un tratto qualcuno alle mie spalle
forse un angelo vestito da passante
mi portò via dicendomi così.
Meraviglioso, ma come non ti accorgi
di quanto il mondo sia meraviglioso
meraviglioso, perfino il tuo dolore
potrà apparire poi meraviglioso
ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto
ti hanno inventato il mare
tu dici: “Non ho niente”
ti sembra niente il sole
la vita, l’amore.
Meraviglioso, il bene di una donna
che ama solo te, meraviglioso
la luce di un mattino
l’abbraccio di un amico
il viso di un bambino, meraviglioso.
Ma guarda intorno a te
che doni ti hanno fatto
ti hanno inventato il mare
tu dici non ho niente
ti sembra niente il sole
la vita, l’amore, meraviglioso.
La notte era finita
e ti sentivo ancora
sapore della vita
meraviglioso, meraviglioso,
meraviglioso ecc…
In entrambi i testi, si sviluppano narrazioni di eventi trascorsi, scandite da un susseguirsi di frasi per lo più brevi, concise, esplicite; semplici descrizioni o affermazioni generose e carezzevoli, con intento di convincere e consolare, come avviene nel secondo testo (dal nono verso in poi).
In luogo di addentrarmi in spigolature, volte ad evidenziare gli estremi geografici di spazi intimi propri dei personaggi di cui canta il testo, mi preme stavolta soffermarmi su di un solo aspetto, fra i tanti, e che è comune ad entrambe le due canzoni e cioè, sul pensiero puro della morte, della propria morte.
Nel secondo testo, quasi a dispetto del titolo stesso (“Meraviglioso”), l’idea della morte occupa la strofa d’inizio, quasi un antefatto, un vassoio sul quale offrire poi, tutta la dolcezza (non sdolcinatezza) del resto della canzone, un lungo abbraccio salvifico, come appunto può essere quello di un amico, esplicitamente citato al verso 22; e che quasi attraverso un niente, raggiunge il suo scopo. Dico niente, perché è al niente citato dal cantante-narratore-io del testo, che il secondo protagonista contrappone la positività delle cose che chiunque ha o può avere, al costo di un niente, appunto.
Nella prima canzone, la morte, anche se qui diversamente dalla seconda, è chiamata espressamente con il suo nome, è però invero appena accennata, nominata in quell’unica volta, al verso 21, al più adombrata al precedente verso 20 e poi, mai più compare.
Ma tanto basta, perché a quel punto e da quel punto in poi, si giustifica su tutto il testo, anche precedente, una più tetra lettura, la percezione di un disastro interiore. Anche qui, è la presenza viva di una nuova persona, che mette in moto quel meccanismo di rinascita da cui l’essere umano attinge, seppur non volendo, come ripete languido il cantante-soggetto; una risorsa dalla portata a noi stessi sconosciuta…