“Di qui ebbe origine l’abitudine a celare i miei piaceri, tanto è vero che quando raggiunsi l’età della riflessione, e cominciai a guardarmi attorno per fare un inventario dei miei progressi e della mia posizione nel mondo, mi ritrovai già coinvolto in una radicata doppiezza esistenziale.”
[Robert Louis Stevenson, “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde“]
Penso che in vita, molti di noi umani, integri della nostra cultura e delle tradizioni, sperimentiamo il danno dei falsi pudori, alimentati dai normali e comunissimi e, per lo più ingiustificati, sensi di colpa, di ogni epoca. Gli stessi sensi di colpa sono il manto dietro il quale celiamo spesso i modesti desideri ed i piccoli sogni, curiosi e spontanei, con cui evochiamo la perduta innocenza. Sogni e desideri, seppur legittimi, vengono trattenuti dalle remore di una inspiegabile vergogna.
Crediamo di sapere, come dato fisso, che la nostra – e non l’altrui – spontaneità, ci è nemica ovvero, che non ci conviene, anche e persino nell’espressione della nostra intimità più privata. Quante volte accade che ci sentiamo osservati e mal giudicati, seppur nella solitudine, non sapendo bene neppure da chi…
“Pentimenti sul passato, noja del presente, e timor del futuro; ecco la vita.”
[Ugo Foscolo, “Ultime lettere di Jacopo Ortis“]
Su tutto ciò ho iniziato un tantino a riflettere, quando sono giunta ad un dato punto della vita; più o meno all’approssimarsi di quella scadenza naturale – per chi prima e per chi poi – verso la quale inizia a far capolino una prima avvisaglia di tramonto, in cielo e nell’aria che respiriamo. E’ quell’azzurrino di luce che incrocia abbastanza repentinamente i raggi ormai tutti distesi del sole pomeridiano. Ce ne accorgiamo di solito quando il fenomeno è già avvenuto. All’inizio ci inganna una sorta di intermittenza o almeno così sembra, fin quando realizziamo che, la fase in cui siamo entrati nostro malgrado, non è reversibile e che la sera, durerà per sempre.
“La tua saggezza sia la saggezza dei capelli bianchi, ma il tuo cuore sia il cuore dell’infanzia innocente”
[Schiller]
Ciò non ci tolga però, vita, anzi, è più che mai ora, che possiamo dare il meglio di noi. La nostra parte migliore, la più semplice e la più geniale, ha subito e superato gli umilianti condizionamenti dell’età giovanile ed è giunta al suo probabile riscatto, fintanto che il giorno durerà.
Ed ora so, che era giusto che così andasse anche per me. Voglio dire che, il raggiungere una buona conoscenza di se stessi, così come realmente siamo e non altro, non è cosa realizzabile in età ancor giovane (non propriamente intesa in senso anagrafico); mentre le scelte mature e consapevoli, che da un po’ di tempo mi trovo sempre più a fare, su di me, necessitano il superamento o almeno l’impegno di una qualche prova di analisi di sé, alla luce di una vita già vissuta, necessitano cioè di un passato.
Al traguardo ci attende una boccata di gusto, assaporata e protratta il più a lungo possibile, ora o mai più.
“Poiché era donna si aggrappava ai particolari”
[Tomasi di Lampedusa, “Il Gattopardo“]
Ciò è anche la raggiunta sicurezza, dei miei e dei suoi più reconditi “diritti”, la certezza, educatamente arrogante ed accattivante, fin nel profondo dell’animo, è quella sfrontatezza improvvisa e gentile, che non ho più nessunissima intenzione di trattenere, sempre pronta e disponibile e di cui mi servo, di volta in volta, in maniera sapientemente calcolata, per provocare i gusti di quella PIETRA d’uomo che mi ritrovo e di cui ho scelto di occuparmi, così silente e gentile, fascio di nervi da aggirare oppure vittima di stress cronico, da analizzare e studiare con amore, ridente ed appagante, così piacente, seppur torrione inespugnabile o sorprendente di innata ironia, come è sua natura e come io sempre lo vorrei.
Insomma, è quella mia follia benedetta, che mi fa osare di offrire allo sguardo privato, il mio presentabilissimo personale nature, fisico femminile adulto e arrotondato, ben misurato e delineato nei suoi punti forti, abbigliato ed obbligato in uno stretto e corto davantino da cuoca, di stoffa leggera, dalla fantasia provenzale a piccoli quadri, quasi un grembiulino da asilo infantile, indossato degnamente, seppur fuori misura minima, da quel tocco di “gallina” quale io sono; mentre mi adopero stando di fronte ai fornelli, a preparare una pietanza di quelle che, per dirla secondo l’Artusi, vogliono vedere in faccia il cuoco: sul davanti, mi rende giustizia un appena-appena di stoffa rifinita e legata sui fianchi, abbellita di piccola passamaneria dal motivo ondulato, ritmico e regolare, come i miei ondeggianti movimenti con il mestolo e, sul lato B, un bel niente, oltre il fiocco annodato in vita, più voluminoso quasi dello stesso grembiulino… guardami tu, che quasi provi vergogna per me, coraggio, approfitta… Persino lo stesso aroma del cibo in cottura, salendo su dalla pentola che ribolle sul fuoco, si effonde per la stanza e da lì, per tutta la casa, fino a raggiungere anche l’androne dell’intero condominio e, quasi fosse un cartone animato, ondeggiandogli sotto il naso, evoca il suono di un flauto dalla melodia orientaleggiante e, danzandogli davanti come un’ectoplasmatica ed ipnotica odalisca, lo rapisce e trascina fino a me.
Ed è sempre quella follia benedetta e burlesca, che spinge dentro di me, a mettere in moto la mia fantasia, giocosamente al tuo servizio, uomo tutto serio e tutto ragionevole, quando, nel dirigerti verso la porta della camera, devi girare tutt’intorno al letto, “obbligato ” a guardare me, che, per il gusto di sfidare il tuo imbarazzo, avendo già superato il mio, mi ergo lì sopra inginocchiata, vestita solo della mia pelle rosa, e della seta irregimentata di una delle tue cravatte.
“Rallegrati, frate corpo, e perdonami, che d’ora innanzi eccomi pronto a soddisfare volentieri i tuoi desideri, pronto a venirti in aiuto nelle necessità!”
[Fra Tommaso da Celano, “Vita di San Francesco di Assisi“]
Mamma
“La nostra casa era una spelonca: per ogni stanza cercavo la mamma, e la mamma non c’era più”
[Luigi Settembrini, “Le ricordanze della mia vita“]
Le poesie belle e famose, sono tali, non solo perché attraverso di esse i loro autori hanno saputo rendere universalmente il proprio sentire, ma anche perché, negli stessi versi, pure così tanto intimi e personali, si riscopre anche il lettore, qualsiasi lettore: essi esprimono i sentimenti del cuore di tutti, a volte persino, sembrano scritti proprio su misura per ognuno di noi, come avviene per altre opere d’arte…
“Non sempre il tempo
la beltà cancella,
ne’ la sfioran
le lacrime e gli affanni:
mia madre ha sessant’anni,
e più la guardo
e più mi sembra bella.
Non ha un gesto, un sorriso,
uno sguardo,
un atto,
che non mi tocchi dolcemente il
core.
Ah, se fossi pittore!
Farei tutta la vita il suo ritratto.”
Questi versi di Edmondo De Amicis, ho riportati sul ricordino funebre della mia mamma. Mi erano piaciuti già da tempo prima, prima ancora della sua dipartita. E quando mi è mancata, non ho trovato niente di maggiormente adeguato alla situazione, ed al mio dolore.
La costruzione della poesia non soffoca la spontaneità e, la spontaneità non ne offende la metrica, insomma, sembra svolazzarle attorno, con naturalezza, ondeggiando e molleggiando come una farfalla.
Strofe di versi non uguali per numero di sillabe, ma dal suono correttamente intonato, per chi le legge od anche solo per chi ascolta, questo piccolo valzer. Si avverte un tocco dolce e carezzevole, soave, come il tema trattato, una armonia scandita, di sillabe e parole gentili (sostantivi, verbi, avverbi, aggettivi…), quasi sul ritmo di un carillon, dal risultato tanto perfetto, perché sincero.
L’ammirazione per le poesie belle, e per la declamazione di versi, e l’interpretazione in genere di brani letterari, letti e recitati ad alta voce, è un patrimonio che ho ricevuto in regalo dalla mia cara maestra elementare: una persona di genio oltre che brava nella sua professione, dal carattere particolare, nobile e di spirito profondissimo, la quale oltretutto, mi ha voluto davvero molto bene, come a tutti i suoi amati alunni.
Da che l’ho conosciuta e, per tutta la durata della sua vita, ho mantenuto in me la certezza della sua speciale amicizia e, da quando non è più, ne conservo con profondo affetto il ricordo unico, che cerco a mio modo di onorare.
Voglio perciò riportare fedelmente qui di seguito, le parole che ella, eccellente prosatrice, aveva scritte, dedicandole a se stessa, sul viale del tramonto e che, per suo desiderio (così ho saputo), sono state poi stampate sul suo luttino, affinché potessero accompagnarla verso quella rinascita in Cristo, di cui ella, da fervente credente qual’era, sono certa, non ha mai dubitato.
“Maria, la tua ricerca è finita.
La resurrezione nella quale hai sperato tutta la vita, ora sai che è certa; quelli che hai amato e che la morte ti ha tolto, ma dei quali hai coltivato il ricordo con devozione e costanza per riempire il vuoto ed il silenzio che la loro dipartita aveva creato intorno a te, ora possono accoglierti festanti.
Finisce così la tua ricerca affannosa della perfezione con l’inevitabile scontento di non saperla raggiungere.
Dimenticato quel poco di buono che durante la tua vita devi pure aver compiuto, sei stata tormentata dal rimorso cocente per le parole d’affetto non dette, per le buone azioni mancate o carenti di comprensione, proprio per quella umana fragilità che non sei riuscita mai a perdonarti.
Con il tuo carico di amore e di dolore sosti ora davanti alla casa del Padre, dove, dopo la tua purificazione, potrai entrare per contemplare il Suo volto e naufragare nella Sua infinita misericordia.
Così avrai anche tu il tuo Sabato, quello di cui parla S.Agostino nell’ultima pagina delle sue Confessioni: il Sabato della pace, del riposo senza fine.
Maria
Sento molta nostalgia della mia infanzia e di un’epoca ormai morta, come morti sono i suoi protagonisti principali. Per la scuola di vita che ho avuto, mi ritengo una privilegiata. Non invidio ne’ gli insegnanti, ne’ gli scolari dei nostri giorni. Provo semmai tanta compassione.
“Insegnava con modi ed aria militare, e ci faceva tutti attenti, e noi gli volevamo gran bene, e si studiava con ardore grande. Egli sapeva il gran segreto dell’insegnamento: fare innamorare i giovani.”
[Luigi Settembrini, “Le ricordanze della mia vita“]
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