“Mi accorgevo che lui provava compassione per me, perché ero costretta a vivere come in un recinto, e nient’altro.”
[Fedor Dostoevskij, “Le notti bianche“]
Una decina circa di anni fa, durante un mio periodo di riflessione, decisi di fare visita ad una cara, carissima persona, una signora coetanea della mia mamma, mia amica e maestra di vita, che ora non c’è più.
Durante la nostra conversazione e le reciproche confidenze, nel riassumere fra sé i ricordi del suo passato, ripensando alla vita trascorsa e giungente al compimento, lei mi disse che cercando fra tutti i suoi ricordi, non aveva memoria di momenti di vita veramente puri, momenti che non fossero in nessun modo offuscati da nubi di tristezza o di ansietà ovvero, attimi di beatitudine completa, libera, indubbia: gli assaggi di paradiso a cui tutti aneliamo il più possibile, come palloncini colorati verso l’alto.
Ne citò infine soltanto uno, senza gran convinzione, che, seppure a suo dire era stato il più alto e perfetto nonché unico della sua vita, era ancora in forse in quanto all’essere assoluto in ogni aspetto, secondo il suo sensibilissimo metro di giudizio. Qualcosa di bello e di superiore doveva aver rappresentato però, se a distanza di oltre 70 anni, le era rimasto ancora nella mente e nel cuore. Si trattava di un episodio felice dei tempi della scuola.
“Oggi è stata una giornata triste, piovosa, senza luce, proprio come la mia vecchiaia futura.”
[idem]
La mia maestra è andata avanti. Io sono rimasta a riflettere…Tante altre volte, dopo il nostro incontro, ho provato a fare della mia vita un resoconto del genere, ma, vuoi per strana pigrizia mentale, più forse per “paura”, non ho approfondito veramente; per non correre il rischio di dover concludere che in tutta la mia vita fin qui trascorsa, non c’è stato mai un solo attimo di paradiso. Rischio concreto, a meno di non ridursi a mentire a se stessi, vanificando ogni riflessione onesta.
Mi rimane ancora dalla mia solo il “vantaggio” di non aver raggiunto gli 80 anni, come invece era per la mia cara amica scomparsa ed inoltre, come per chiunque, la totale “ignoranza” del mio domani. Se anche la mia realtà fosse finora quella di un “nulla di fatto”, posso comunque lasciare aperta la porta della speranza, forse ancora per un po’. Posso almeno crederci…
La mia anima ha fretta
Ho contato i miei anni e ho scoperto che ho meno tempo per vivere da qui in poi rispetto a quello che ho vissuto fino ad ora.
Mi sento come quel bambino che ha vinto un pacchetto di dolci: i primi li ha mangiati con piacere, ma quando ha compreso che ne erano rimasti pochi ha cominciato a gustarli intensamente.
Non ho più tempo per riunioni interminabili dove vengono discussi statuti, regole, procedure e regolamenti interni, sapendo che nulla sarà raggiunto.
Non ho più tempo per sostenere le persone assurde che, nonostante la loro età cronologica, non sono cresciute.
Il mio tempo è troppo breve: voglio l’essenza, la mia anima ha fretta. Non ho più molti dolci nel pacchetto.
Voglio vivere accanto a persone umane, molto umane, che sappiano ridere dei propri errori e che non siano gonfiate dai propri trionfi e che si assumano le proprie responsabilità.
Così si difende la dignità umana e si va verso la verità e onestà.
E’ l’essenziale che fa valer la pena di vivere.
Voglio circondarmi di persone che sanno come toccare i cuori, di persone a cui i duri colpi della vita hanno insegnato a crescere con tocchi soavi dell’anima.
Sì, sono di fretta, ho fretta di vivere con l’intensità che solo la maturità sa dare.
Non intendo sprecare nessuno dei dolci rimasti. Sono sicuro che saranno squisiti, molto più di quelli mangiati finora.
Il mio obbiettivo è quello di raggiungere la fine soddisfatto e in pace con i miei cari e la mia coscienza.
Abbiamo due vite e la seconda inizia quando ti rendi conto che ne hai una sola.
[Anonimo]
Mi sento ispirata da queste parole, sono dell’idea che valga la pena non negarsi ogni possibile ulteriore tentativo, seppure sbagliando. Questa è la vita: sorprendente.
“Allora sentì che la fantasia, quella inesauribile fantasia, alla fine si stanca, si esaurisce in quella tensione permanente perché maturata, abbandona gli ideali presognati: essi cadono in polvere, si spezzano in frammenti; e se non esiste un’altra vita, allora ci tocca costruirla con questi frammenti. Ma intanto l’anima chiede e desidera qualcosa di diverso.”
[idem]
Investigazione letteraria
“…pensando che fra un uomo e l’altro l’unica differenza o disuguaglianza è quella determinata dal biasimo delle azioni turpi e dalla lode di quelle nobili.”
[Plutarco, “Vita di Licurgo“]
Qui di seguito, riporto fedelmente la PREFAZIONE di un libro, che è un manuale di lavoro ed apparteneva al mio nonno materno, pasticcere (caffettiere, c’è scritto alla voce professione, sulla sua antica Carta d’identità del Regno d’Italia), classe 1889.
E’ un trattato di Gelateria, ben presentato e con anche delle immagini a colori, mancante purtroppo della copertina più poche altre pagine, ma tanto basta a non poterne conoscere il nome dell’autore (a quanto si legge un contemporaneo e concittadino del Carducci) ed anche il titolo preciso del libro (ed aggiungo anche per mia ignoranza). Ne rimane fortunatamente la fotografia dell’autore, forse la controcopertina?, ed anche la sua firma in calce alla Prefazione, inoltre dalla dedica iniziale si evince qual’è il suo paese natale: Panicale. E’ già qualcosa.
Chissà se qualcuno più colto e mondano di me, in quel di Bologna od anche di Napoli (vedi la Prefazione), grazie a questi indizi ed alle immagini postate e, leggendone la seguente Prefazione, si ricorda di questo artigiano o della sua rinomata gelateria…
PREFAZIONE
Un trattato che si occupi esclusivamente di Gelateria, che io mi sappia, in Italia non vi è.
Da parecchio tempo avevo divisato di pubblicarlo, ma sono stato sempre incerto nell’attuare questo mio desiderio, perché ho sempre creduto un lavoro superiore alle mie deboli forze letterarie, nella speranza che altri, più capaci di me, lo pubblicassero.
Venendo al termine di questa mia lunga vita di dolori e fatiche, senza che alcuno abbia reso noto un lavoro del genere, mi sono deciso alla pubblicazione, incoraggiato dalla mia lunga esperienza professionale, acquistata praticamente in molti anni d’immenso successo.
Considerando che il comunicare in una professione le proprie esperienze desunte dal lavoro pratico, sia l’unico mezzo di perfezionare qualsiasi industria, mi sono deciso senza altro a compilare questo lavoro affidandomi in pari tempo alla vostra particolare benevolenza.
Per quanto umile e modesta possa sembrare una professione, essa può diventare un’arte, se esercitata con passione ed intelligenza. Se poi ha servito ad abbellire alcune ore della vita, se ha sollevato le fisiche sofferenze, se ha procurato a chi l’esercita, la soddisfazione di allevare una numerosa famiglia, di rendere al vecchio genitore parte di quanto deve ogni buon figliuolo, essa diventa un’arte nobile ed umanitaria. – Tale credo, senza falsa modestia, l’arte mia che ho riassunto in questo volume dopo venti anni di pratica esperienza, nell’intento di giovare ai miei simili, di risparmiare ai giovani lo sforzo dei molteplici tentativi, prima di raggiungere lo scopo.
Non rifarò la storia dei miei umili principi, non dirò attraverso quali peripezie ho potuto ottenere il successo; dirò soltanto che a Bologna, dove per parecchi anni ho esercitato la mia professione, sono conosciutissimo, e che non vi fu mai un pranzo importante ove non apparissero, gustati e festeggiati, i miei gelati.
Nella mia clientela annoveravo tutto ciò che di eletto vanta Bologna. Il grande poeta Carducci, mi trattava con famigliare dimestichezza e quando veniva nel mio negozio per darmi ordinazioni, mi cercava benevolmente: “Dov’è il napoletano di Bologna?” alludendo al mio lungo soggiorno in Napoli, dove ho imparato l’arte mia.
Anche per il Cardinale Svampa avevo composto gelati speciali per i grandi pranzi a cui invitava ragguardevoli personaggi ed anche per quelli a cui era invitato.
Ho seguito i consigli dell’igiene moderna creando speciali composizioni, allo scopo di alleviare le sofferenze degli ammalati e di giovare ai sani.
Ho cercato infine, e spero di esservi riuscito, di raggiungere il più alto grado di perfezione in un’arte che è vanto italiano, perché gl’italiani furono i primi ad esercitarla in Europa. (L’arte del gelatiere viene dall’Oriente, dove si facevano i gelati sino dal secolo XIV). Dall’Italia passò in Francia e alla Corte di Luigi XIV fu tenuta in grande onore. Anche Napoleone I aveva molta predilezione per i gelati e nella sua Corte se ne faceva uso grandissimo.
Oggi l’uso del gelato si è largamente diffuso in tutte le classi sociali ed è rinfrescante al quale ricchi e poveri più volontieri ricorrono nei giorni afosi dell’estate.
Credo quindi di non aver fatto opera inutile compilando questo trattato che insegna il modo di fare gelati ottimi, conformi ai dettati dell’igiene, perché nutritivi e ricostituenti, con economia e facilità, additando tutti gli strumenti necessari e le condizioni indispensabili per la sicura riuscita.
Prendo congedo dal benigno lettore augurando che il mio volume venga benevolmente accolto per i lodevoli intenti che lo hanno ispirato.
Autografo dell’autore
[fedele alla copia di parte di un vecchio libro dal quale mancano i dati bilbliografici (Autore, titolo, editore, luogo, anno di pubblicazione, …)]
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